La disinformazione sui vaccini è ormai riconosciuta come una vera e propria minaccia globale alla salute pubblica. Durante la pandemia di Covid-19, insieme al virus, si è diffuso un altro “agente patogeno” difficile da contenere: le fake news. Dubbi sulla sicurezza, presunti rischi non dimostrati, teorie del complotto: tutte narrazioni che hanno alimentato esitazione vaccinale e sfiducia nelle istituzioni sanitarie.
Uno dei timori più discussi dagli esperti di comunicazione era il cosiddetto “backfire effect”. In altre parole, la preoccupazione che, ripetendo un falso mito anche solo per smentirlo, si finisse paradossalmente per rafforzarlo nella memoria delle persone. Ma un nuovo studio pubblicato ad agosto 2025 sulla rivista scientifica internazionale Vaccine mette in discussione questa ipotesi e fornisce spunti preziosi per chi si occupa di campagne di prevenzione.
Lo studio
Il lavoro è stato condotto da un gruppo di ricercatori della University of Pennsylvania (Jennifer C. Morgan, Melanie L. Kornides, Jeremy Lee e Jessica Fishman) e ha coinvolto 892 adulti statunitensi con preoccupazioni sulla sicurezza dei vaccini. (https://doi.org/10.1016/j.vaccine.2025.127463)
Gli autori hanno confrontato tre diversi modi di correggere la disinformazione sui vaccini Covid-19:
- Mito seguito da fatto – la formula classica, usata spesso da OMS e CDC.
- Fatto, poi mito, poi di nuovo fatto – il cosiddetto “sandwich” informativo.
- Solo fatto – senza menzionare il mito.
L’obiettivo era capire se una di queste strategie fosse più efficace nel rafforzare le intenzioni di vaccinarsi, e soprattutto verificare se davvero ripetere il mito potesse avere un effetto controproducente.
Cosa è emerso
I risultati sono chiari: nessuna delle strategie ha generato un “backfire effect”. In altre parole, smontare i falsi miti non ha indebolito le intenzioni vaccinali.
Al contrario, nei partecipanti che avevano già ricevuto almeno una dose di vaccino Covid-19, la formula “mito → fatto” ha mostrato un effetto positivo: ha rafforzato in modo significativo l’intenzione di sottoporsi al richiamo.
Diverso il discorso per chi non aveva mai iniziato il percorso vaccinale: in questo gruppo, nessuno dei tre approcci comunicativi ha avuto un impatto rilevante sulle intenzioni di vaccinarsi.
Questo studio ridimensiona una paura diffusa nel dibattito scientifico e nella comunicazione sanitaria. Ripetere il mito, se accompagnato da una spiegazione chiara e basata sui fatti, non sembra rafforzare la disinformazione. Anzi, in alcuni casi può addirittura consolidare la fiducia nel vaccino.
Per le istituzioni e i professionisti che lavorano nella prevenzione, il messaggio è rassicurante: le campagne che adottano schemi “mito → fatto” non rischiano di fare danni, purché siano costruite con rigore scientifico e linguaggio accessibile.
C’è però un limite importante: queste strategie sembrano funzionare meglio con chi è già in parte favorevole alla vaccinazione, mentre non riescono a scalfire la resistenza dei non vaccinati più convinti.
Le implicazioni per l’Italia
In un contesto, come quello italiano, dove la fatica vaccinale e la disinformazione continuano a pesare sulle coperture, i risultati di questo studio offrono spunti pratici:
- Le campagne istituzionali (Ministero della Salute, Regioni) possono usare senza timori la formula “mito → fatto” nelle FAQ e nei materiali divulgativi.
- Nei soggetti già vaccinati, come gli anziani o i fragili che devono affrontare i richiami, chiarire e smentire i miti può rafforzare l’adesione.
- Resta la sfida di raggiungere i “non vaccinati cronici”, per i quali servono interventi più mirati e relazionali, affidati a medici di famiglia e pediatri.
L’articolo pubblicato su Vaccine conferma che sfatare i falsi miti è utile e sicuro, a patto che il messaggio sia chiaro, coerente e supportato da dati scientifici. In altre parole: non dobbiamo avere paura di dire a voce alta “quel che è falso”, perché se subito dopo spieghiamo con chiarezza “quel che è vero”, possiamo contribuire a rafforzare la fiducia nei vaccini e nella prevenzione.